La produzione combinata di energia elettrica e calore in uno stesso impianto prende generalmente il nome di cogenerazione.
La produzione combinata può incrementare l’efficienza di utilizzo del combustibile fossile fino ad oltre l’80%; a ciò corrispondono minori costi per l’approvvigionamento del combustibile fossile e minori emissioni di inquinanti e di gas ad effetto serra (cosiddetti gas climalteranti) rispetto alla produzione separata di elettricità e di calore.
Le centrali termiche per la produzione di energia elettrica hanno, in generale, una bassa efficienza energetica: soltanto il 40-50% (fino al 55% negli impianti più moderni) dell’energia termica contenuta nei combustibili fossili viene trasformata in energia elettrica, mentre la restante quantità è dissipata nell’ambiente senza alcun utilizzo. In alcuni casi, tuttavia, tale energia termica residua può trovare impiego nell’industria, ad esempio sotto forma di vapore, oppure può essere destinata a usi civili, come il riscaldamento degli edifici. Gli impianti di produzione combinata, dunque, convertono energia primaria, di una qualsiasi fonte, in energia elettrica ed in energia termica (calore), prodotte congiuntamente ed entrambe considerate effetti utili.
Il Parlamento Europeo riconosce la produzione combinata come un provvedimento importante tra quelli necessari per soddisfare il raggiungimento degli obiettivi del Protocollo di Kyoto e, già da tempo, ha incluso tra le proprie priorità la diffusione progressiva di una corretta produzione combinata di energia elettrica e calore. In particolare, la direttiva 2004/8/CE è interamente dedicata alla promozione della cogenerazione basata sulla domanda di calore utile e introduce il concetto di Cogenerazione ad Alto Rendimento (CAR),ovvero la produzione combinata di energia elettrica e calore che garantisce un significativo risparmio di energia primaria rispetto agli impianti separati, secondo modalità che, nella normativa italiana, sono definite dal Decreto Legislativo 8 febbraio 2007, n. 20 come integrato dal DM 4 agosto 2011.
La produzione combinata presuppone la possibilità di utilizzare il calore in prossimità del luogo stesso di produzione. In generale, infatti, trasmettere il calore a grande distanza non è tecnicamente realizzabile, a causa soprattutto dell’ elevata dissipazione che si avrebbe durante la trasmissione. Per questo motivo, gli impianti di cogenerazione sorgono di solito in prossimità di utilizzatori termici. Se il calore viene prodotto a temperatura relativamente bassa, si tratterà di impieghi di tipo civile, come il riscaldamento di ambienti o il teleriscaldamento urbano; il fluido vettore è quasi sempre acqua. Se il calore prodotto è più “pregiato” (temperatura e pressione elevate), sarà utilizzato, sotto forma di vapore, in lavorazioni industriali. Non mancano situazioni miste, in cui si ha produzione contemporanea di calore a vari livelli di temperatura, anche molto diversi. In tali casi, di solito, vi è un unico luogo di utilizzo (ad esempio, uno stabilimento industriale), dove il vapore pregiato viene destinato alle lavorazioni, e quello a bassa temperatura al riscaldamento degli ambienti produttivi. In alcuni casi, l’utilizzatore termico produce, a sua volta, gas con un contenuto energetico significativo, i quali sono ceduti all’impianto di cogenerazione, per essere utilizzati come combustibili. Ciò accade, ad esempio, negli impianti petrolchimici o siderurgici e nelle raffinerie.
Alcune tipologie degli impianti di cogenerazione
Nella sua forma più semplice un impianto di produzione combinata comprende almeno un motore primo (turbina a vapore, turbina a gas, oppure motore a combustione interna), e un generatore elettrico. Nel caso, ad esempio, di una turbina a vapore, un combustibile primario, bruciando in una caldaia, cede energia termica all’acqua, trasformandola in vapore. Una parte di tale energia è trasferita dal vapore al motore primo che, trascinando l’alternatore, la trasforma in energia elettrica. Un’altra parte è invece utilizzata direttamente come energia termica, e può essere destinata, come già visto, a vari impieghi civili o industriali. Infine, la parte rimanente, nella forma di calore residuo non più utilizzabile, è dispersa nell’ambiente.
Il prelievo di energia termica utile dal fluido di processo può avvenire in vari modi.
Nel caso di impianti con turbine:
- a gas o con motori a combustione interna, si impiega solitamente uno scambiatore che recupera il calore dai fumi esausti prima di scaricarli nell’atmosfera;
- a vapore, le soluzioni più diffuse per il prelievo di calore sono le seguenti:
a) turbine a contropressione: subito dopo l’espansione in turbina il vapore è inviato all’utilizzatore termico, al quale cede parte dell’energia (entalpia) che ancora possiede. Il funzionamento può essere in ciclo chiuso, con ritorno alla caldaia del vapore condensato dall’utilizzatore, o in ciclo aperto.
b) turbine a condensazione con spillamento: il calore è prelevato estraendo una certa portata di vapore (spillamento) in un punto opportuno del ciclo termodinamico per inviarla all’utenza termica. La portata rimanente, dopo l’espansione in turbina, è condensata e il calore di condensazione è di norma dissipato.